Sarzana, che Botta!

« Mi rivolto dunque siamo »

Albert Camus


Asl e Arpal voteranno sul digestore
Con quali dati sanitari e ambientali?

Oggi molti politici (Giampedrone in testa) tentano di nascondersi dietro i “tecnici” per non assumersi la responsabilità dell’ennesimo scempio, che si sta consumando in Val di MagraNon si curano neppure di chiedere ai tecnici – con l’autorità che deriva loro dall’essere rappresentanti dei cittadini nelle istituzioni –  secondo quali dati ambientali ed epidemiologici Arpal e Asl forniranno i loro pareri nell’ambito della Conferenza dei servizi “chiamata ad approvare” (parafrasando le parole della dottoressa Carnevale) il progetto di digestore da 90 mila tonnellate a Saliceti.
L’Asl 5 con la nuova dirigenza nominata da Toti ha bloccato al 2015 il piano di sorveglianza epidemiologica e sul  sito online dell’azienda sanitaria non riusciamo più a trovare i dati raccolti tra il 2012 e il 2015. Nostro limite?
Non è dato neppure di sapere che fine abbia fatto il modello matematico elaborato dall’università di Genova su incarico del Comune capoluogo ai tempi della giunta Federici per valutare l’impatto che nuovi insediamenti industriali (dall’Enel agli impianti di rifiuti) potrebbero provocare sul territorio e i suoi abitanti. L’Arpal è attrezzato per una valutazione autonoma o deve affidarsi “all’oste” Recos che ha incaricato un istituto di propria fiducia per dire se dai camini e dagli scarichi fognari usciranno fiori e pesci rossi o formaldeide, polveri sottili o gas serra?

I pozzi di Fornola. “Minimizzare il rischio”. Questa la posizione della Regione. Ma è accettabile un rischio per l’acqua potabile?

Valutazione del rischio idrogeologico delegato a Recos
Regione, Provincia e Comuni interessati (pur governati da maggioranze politiche opposte) hanno rinunciato ad attivare una consulenza autorevole e super partes su uno dei punti più delicati: la sicurezza idrogeologica, cioè della falda, cioè dei pozzi di Fornola che riforniscono 150.00 abitanti spezzini e alcune decine di miglia di Carrara. I Comitati No biodigestore, Sarzana, che botta!, Acqua bene comune e le associazioni Italia Nostra, Legambiente e Cittadinanzattiva fin dal febbraio scorso avevano indicato prestigiosi docenti delle facoltà di ingegneria idraulica fluviale dell’Università di Genova e di Scienza della Terra dell’università di Firenze. I Comuni hanno fatto spallucce. La Provincia è a rimorchio della Regione.
L’ufficio ambiente della Regione se ne è stata alla perizia prodotta da Recos, redatta da un giovane docente dell’Università di Reggio Emilia. Del resto Iren ha sede a Reggio, giusto – dal suo punto di vista – che si rivolga all’università di riferimento. Scelta comunque singolare dopo aver strombazzato l’incarico a un illustre cattedratico del Politecnico di Milano di fronte alle incalzanti osservazioni prodotte in sede di inchiesta pubblica di VIA dal professor Giovanni Raggi, già docente all’università di Pisa, uno che il fiume lo ha studiato davvero e che ha fatto riferimento all’Atlante degli acquiferi e agli studi Acam, quando la società era pubblica. Naturalmente i dirigenti regionali dell’Ambiente, Cecilia Brescianini e Paola Carnevale hanno preso per buone le conclusioni del consulente di parte. I politici, di destra e di sinistra, della Regione, della Provincia e dei Comuni, della Lega, Italia Popolare, Pd, Italia Viva, Sinistra Italiana, formalmente schierati contro il biodigestore, hanno nulla da dire? Dietro quali tecnici si nascondono? Dietro al consulente di Recos o sposano lo studioso spezzino che nella sua vita professionale è stato stimato perito delle Procure italiane, quindi figura di prestigio e indipendente?
La sicurezza ambientale e sanitaria è un problema politico, che i tecnici devono valutare e risolvere. Ma tocca alla politica imporre gli obiettivi e fornire gli strumenti. E per la salute e l’ambiente, particolarmente l’acqua che beviamo dai pozzi di Fornola, per associazioni e comitati l’unico rischio accettabile è il rischio zero. Il rischio zero non esiste, come dichiarò a Ponzano l’ad di Recos Stretti? Allora l’impianto si fa da un’altra parte. Soprattutto è inaccettabile un altro rischio per le false in una zona già provata da discariche, abusive e non, proliferate negli ultimi decenni del secolo scorso, certificate da un’indagine del Parco Magra e del Corpo Forestale dei Carabinieri, purtroppo anche quella bloccata. Non sono forse questi gli “impatti cumulativi” che un’inchiesta di VIA avrebbe dovuto valutare?

Articolo di Carlo Ruocco

 

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Data
domenica, 7 giugno 2020

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