Sarzana, che Botta!

« Abitare viene prima di costruire »

Mario Botta, citando Heidegger


“Camorristi” in piazza Martiri … del lavoro
I risvolti amari e grotteschi della trattativa

Articolo di Carlo Ruocco

Viene comunemente chiamata piazza Martiri. Ma il nome completo è piazza Martiri della Libertà. Con la L maiuscola. Dal I° Maggio 2019 potrà essere ribattezzata piazza Martiri del lavoro (l minuscola). Mercoledì scorso, per i laici Festa del Lavoro, per la Chiesa giorno dedicato a San Giuseppe Artigiano, gli operai sono entrati regolarmente in cantiere come fosse un mercoledì qualsiasi. Come in altri giorni di festa hanno dato di primo mattino il buongiorno agli abitanti dei palazzi vicini con il rumore del motore della gru e dei lavori di carpenteria per armare, ci ha detto un esperto, le travi del solaio dell’attico. Le normative nazionali e comunali in tema di rumori a Sarzana sono abrogate.

Primo Maggio nel cantiere di Piazza Martiri

Cinque piani, più l’attico. Fanno sei: come da progetto originario, consacrato dalle convenzioni stipulate dalla giunta guidata da Alessio Cavarra e mai revocato dalla nuova amministrazione di Cristina Ponzanelli, nonostante il parere legale dell’avvocata amministrativista Piera Sommovigo, acquisito dal capogruppo della Lega Jacopi, il quale in tempi non sospetti aveva pontificato: “Quel palazzo non si farà mai!” evocativo del manzoniano “Questo matrimonio non s’ha da fare”.
Ma qui siamo lontani dagli scenari manzoniani. Il mattatore della vicenda piazza Martiri non è un principotto lombardo, ma un arguto imprenditore napoletano. La trattativa Comune- impresa Miranda e cittadini ricorrenti al Tar più che il romanzo manzoniano richiama la commedia napoletana con i suoi non detti, quel misto di arguzia e vittimismo, di ironia, ammiccamenti e doppi sensi … Del resto la tradizione teatrale partenopea ha partecipato a formare la cultura italiana: Eduardo Scarpetta, Eduardo De Filippo, candidato al Nobel per la letteratura, Beppe e Concetta Barra, Troisi e la Smorfia … Nella tradizione teatrale popolare napoletana un posto di tutto rilievo lo ha la sceneggiata, il cui massimo interprete fu Mario Merola. Vogliamo insinuare che la trattativa su piazza Martiri sia una sceneggiata? Non siamo in grado di affermarlo, neppure di osarlo e tanto meno di individuare i tre personaggi principali: isso, issa e ‘o malamente.
Per puro divertissement, essendo noi, come tutti i contribuenti sarzanesi, consiglieri comunali compresi, chiamati da spettatori a pagare il biglietto (tasse) per l’esito finale della trattativa, qualsiasi esso sia, possiamo provare a indovinare, in base alle testimonianze raccolte tra chi ha partecipato ai tre incontri, chi è il produttore del libello (da un’idea di Cristina Ponzanelli, che ha scaricato sui dodici ricorrenti al Tar la difesa dell’interesse pubblico a contenere il palazzo e a ripristinare il parcheggio comunale), chi ha scritto il copione (Domenico Miranda, unico napoletano verace), chi ha curato la regia (il presidente del Consiglio comunale Carlo Rampi) e chi ha avuto il ruolo di assistente di scena (l’architetto Luigi Piarulli). Poi ci sono gli attori non protagonisti: i dodici cittadini ricorrenti al Tar e, fino ad oggi, la Procura della Repubblica e i corpi di polizia.
Se vi volete dilettare con la sceneggiata napoletana, isso, issa e ‘o malamente li lasciamo decidere a voi.
Dodici camorristi in scena
Noi usciamo da teatro e torniamo alla realtà. Anche nella realtà il copione lo scrive sempre lui: Domenico Miranda. Solo un grande si può rivolgere all’avvocato dei ricorrenti, attualmente senatore della Repubblica, che gli snocciolava le richieste dei suoi assistiti per ritirare il ricorso al Tar (due piani in meno, parcheggio pubblico sotto la piazza), sentenziando: “A Napoli conosciamo la camorra. Da noi questa si chiama estorsione”. Insomma i ricorrenti alla stregua di camorristi.
Solo un grande può impegnare un’amministrazione pubblica in tre mesi di trattativa giusto il tempo per finire il palazzo, lavorando di sabato, di domenica e il Primo Maggio. Solo un grandissimo può mettere nell’angolo un’amministrazione pubblica balbettante producendo calcoli mirabolanti.
“Io posso rinunciare a un piano – disse Miranda secondo il racconto dei testimoni –. Ma ci perdo un milione di euro. Fanno quattro appartamenti in meno: duecentocinquanta mila euro ad appartamento. E fa un milione tondo tondo. Sia chiaro, da quest’opera non mi aspetto di guadagnarci. Ormai è andata come è andata. Ma non voglio neppure rimetterci. Fatemi almeno andarci pari. Quindi, se io scendo di un piano, mi fate chiudere il portico del piano terra per ricavarci altri negozi, mi trasformate la destinazione d’uso del Laurina e del palazzo in via VIII Marzo da alberghiera a residenziale”. 
Ha parlato don Domenico. Tutti zitti, avvocati compresi. Non uno che gli abbia opposto: “Ué, tu con lo spanciamento abusivo del palazzo su proprietà pubblica di quasi due metri per 28 di lunghezza per quattro piani in altezza ti sei già preso, aum, aum, due mini appartamenti. Secondo i tuoi calcoli fanno 350 mila euro. Cavarra ti ha regalato il sottosuolo per i tuoi garage a 92.000 euro per 90 anni. Lo mettiamo in conto o no?”. Tutti zitti. Non gli hanno neppure osato chiedergli: a Napoli come si chiamano queste pretese? Non si sono neppure ricordati che a Napoli c’è un detto popolare “Chiagne e fotte”.
Tar: carta vince, carta perde. Ma vince sempre lui
Al contrario, tutti al lavoro in Amministrazione per vedere come raggirare la legge urbanistica regionale che non consente a PRG scaduto e col PUC in formazione, operare varianti per cambio di destinazione d’uso di edifici privati. Le varianti sono previste, ma solo per opere pubbliche. Ad esempio un parcheggio pubblico interrato in piazza Martiri. Forzare la legge e favorire il forte interesse privato agganciandolo all’interesse pubblico? Significherebbe continuare col metodo ”di quelli di prima”.
A guadagnarci anche dal ricorso al Tar e dalla trovata della trattativa sarebbe sempre lui, don Domenico Miranda.
Ridotti al silenzio cittadini e Consiglio comunale
Per non indurre in tentazione il consiglio comunale a esprimere preventivamente un parere su tutta la vicenda, il presidente Carlo Rampi ha deciso di non portare in discussione la petizione protocollata nel lontano 11 dicembre dal Comitato Sarzana, che botta!, sottoscritta da 580 cittadini. Secondo lo Statuto comunale doveva essere discussa entro sessanta giorni.  “Il termine dei sessanta giorni non è perentorio, non essendo previste sanzioni a carico di sindaco e consiglieri se non ottemperano”, ha sentenziato l’illustre avvocato, continuando la tradizione di ignorare le petizioni popolari che fu di Paolo Mione ai tempi del PD imperante. Meglio che il massimo organo politico della città continui a occupare nel nostro teatro della politica un posto in loggione, piuttosto che esprimersi sulle tante illegittimità denunciate dalla petizione del Comitato e dalla consulente della Lega, che in scena ormai fa il coro alle decisioni altrui.
Ignorare una petizione di 580 cittadini è la nuova frontiera della partecipazione nell’era del cambiamento “epocale” a Sarzana. Fa il paio con la “massima trasparenza” evocata dal sindaco Cristina Ponzanelli nell’annunciare la pubblicazione di tutti i pareri legali raccolti sulla vicenda da ottobre a ieri. Chi li ha visti? Chiederemo a Federica Sciarelli.
Dopo la celebrazione in cantiere del Primo Maggio, il Comitato Sarzana, che botta! proporrà un’altra petizione per cambiare nome alla piazza: Piazza Martiri del lavoro. Poi gita culturale a Napoli. C’è la necessità di approfondire i contorni di un’altra figura del teatro classico napoletano: la macchietta. Può tornare utile in futuro.

Carlo Ruocco

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Data
mercoledì, 8 maggio 2019

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