Salzano critica Monti: la “crescita” è nel cemento senza regole?
Pubblichiamo un saggio molto critico di Edoardo Salzano, uno dei massimi urbanisti europei, sul decreto Monti sulle liberalizzazioni. Salzano vi vede un sacrificio di tanti valori (salute, paesaggio, qualità della vita …) in nome della “crescita” senza controlli del cemento. Il saggio è apparso su Eddyburg.it |
di Edoardo Salzano
Pensavo che fosse uno scherzo quando ho letto il primo articolo del decreto sulle liberalizzazioni, inviatomi qui a Kigali (Rwanda) da un amico dall’Italia. Poi ho capito che era vero: si trattava dei provvedimenti per consentire la ripresa della “crescita” del paese. Tra questi mi ha particolarmente colpito l’abolizione, di fatto, della “pianificazione autoritaria: il colpo che non era riuscito a Maurizio Lupi e ai suoi alleati di destra e di sinistra
Il decreto Monti dispone infatti l’abrogazione delle norme «che pongono divieti e restrizioni alle attività economiche non adeguati o non proporzionati alle finalità pubbliche perseguite, nonché le disposizioni di pianificazione e programmazione territoriale o temporale autoritativa con prevalente finalità economica o prevalente contenuto economico, che pongono limiti, programmi e controlli non ragionevoli, ovvero non adeguati ovvero non proporzionati rispetto alle finalità pubbliche dichiarate e che in particolare impediscono, condizionano o ritardano l’avvio di nuove attività economiche o l’ingresso di nuovi operatori economici ponendo un trattamento differenziato rispetto agli operatori già presenti sul mercato, operanti in contesti e condizioni analoghi».
Il significato di questa abrogazione (deregolamentazione) è chiaro. La pianificazione e programmazione degli enti pubblici elettivi (“autoritativa”) deve avere quale suo obiettivo principale, cui tutti gli altri sono subordinati, lo sviluppo delle attività economiche. Poiché (e finché) “le finalità pubbliche perseguite” (la “crescita”, l’aumento del PIL, la produzione di maggiore valore di scambio) non saranno raggiunte, ogni altro obiettivo sarà ad esso sacrificabile. La tutela dei beni culturali e del paesaggio, il benessere degli abitanti delle città e dei territori, la salute, l’equità nell’accesso ai beni comuni, quindi un’organizzazione dello spazio che consenta di soddisfare queste esigenze, tutto ciò diventerà, insieme al lavoro, variabile subordinata della “crescita”.
Domandiamoci qual è, nell’Italia di oggi, la “crescita” che trova ostacoli nella pianificazione e programmazione “autoritative”. E’ forse quella caratterizzata dall’innovazione e dalla ricerca, dal perseguimento del migliore valore d’uso del prodotto? Certamente no. L’attività economica più redditizia, quella alla quale si sono pesantemente convertite, fin dagli ani Settanta del secolo scorso, le stesse aziende capitalistiche “moderne e avanzate”, è quelle del mattone: dell’incremento e della massima valorizzazione della rendita fondiaria urbana.
Non è necessario ricordare ai frequentatori di eddyburg, e neppure alle migliaia di persone che dedicano parte del loro tempo e della loro attenzione politica ai gruppi e comitati di cittadinanza attiva, quale sia la realtà dello “sviluppo economico” che trova ostacoli in quel poco che resta (o che si teme possa restare) della pianificazione urbanistica e territoriale, specie se con “specifica considerazione dei valori paesaggistici e ambientali”.
Lo “sviluppo economico” che trova ostacoli nella buona pianificazione e programmazione “autoritative” è quello stesso a favore del quale il governo Berlusconi ha emanato i suoi condoni edilizi e il suo “piano-casa” e ha disegnato, nel salotto di Emilio Fede, il suo programma di infrastrutture e “grandi opere”. Non c’è alcuna discontinuità tra la politica berlusconiana e quella montiana a questo proposito. Del resto non poteva essere altrimenti, se pensiamo alla maggioranza sulla quale il nuovo governo si regge. Oltre agli uomini di Berlusconi essa infatti comprende quel PD che troppo spesso ha seguito, condiviso, accettato – o, quando è stato più feroce – subito le scelte di politica territorile di Berlusconi. Non è stata forse la regione Toscana la prima ad accettare la logica del “piano-casa”? e non sono decine e decine i sindaci del PD che hanno seguito la logica della deregolamentazione urbanistica, o del sovradimensionamento dei piani in omaggio allo “sviluppo”, o hanno riconosciuto negli interessi dei “finanziatori” quelli da premiare nelle scelte urbanistiche, o hanno puntato il loro successo su “grandi opere” celebrative della loro persona – prima ancora del loro governo?
Certo, il decreto Monti è pieno di ambiguità lessicali e procedurali: chi, quando e come definirà, ad esempio, il carattere ««vessatorio» di determinate procedure? Chi stabilirà, volta per volta, qual è «l’interesse pubblico», e quali regole o vincoli siano «non ragionevoli, ovvero non adeguati ovvero non proporzionati rispetto alle finalità pubbliche»? Qualcuno, magari, potrà essere tranquillo pensando: ma questi intellettuali, moralmente ineccepibili e ricchi di cultura e buon gusto, oltre che di buon cuore, staranno attenti a non far danno. Ma anche questi ottimisti dovrebbero tremare pensando che cosa succederà se, e quando, a Monti subentrerà un nuovo Berlusconi, che si troverà in cassaforte questo provvedimento. E di Caimani ce ne sono tanti, in giro.