Lettera del prof. D’Alto: il Comitato s’impegni su interesse pubblico e cultura della città
Cari amici del Comitato
Buon lavoro quello da voi fatto di enumerazione delle varianti al PRG dal 2008 ad oggi (qui). Vi siete limitati a tre anni – è già stato un bell’impegno – ma di varianti ce ne saranno molte anche negli anni precedenti. Perché quello delle continue varianti ai P.R.G. C. è il metodo con cui i Comuni italiani hanno proceduto alla attuazione dei Piani Regolatori. Così questi si sono sistematicamente e chirurgicamente svuotati dall’interno, smembrandoli di ogni idea generale e di ogni tentativo di dare una struttura coerente al territorio (beninteso quando c’era un piano che aveva idee, perché questo è niente affatto facile ). Come ci si potrebbe rendere conto del continuo, dilagante consumo di suolo, della urbanizzazione diffusa e sgangherata – che negli anni Sessanta si chiamava sviluppo “a macchia d’olio”, poi “deregulation”, quindi, con più garbo, “città diffusa”, ora “sprawl“, prendendo a prestito, forse per pudore, un vocabolo inglese molto opportuno, che dice bene la perdita della forma urbana – senza questa strategia di chirurgia demolitoria?
Ma forse è meglio chiamare le cose per quello che sono davvero: rendita urbana, interessi privati dominanti, perdita del senso dell’interesse pubblico (“public interest”, dicono gli inglesi, forse un po’ più educati di noi in questo campo) , ignoranza e mancanza di idee da parte delle istituzioni: sono termini che chiariscono meglio il caos civico ammorbante nel quale stiamo nuotando come topi nelle fogne (vedi la situazione nazionale con gli “anemoni” che non sono fiori dei nostri giardini, ma ganasce tenaci che hanno preso in “custodia” architettura e urbanistica) . Un po’ d’aria, di atmosfera pulita, di concentrazione per tentare di dare ordine a pensieri semplici in vista dell’ interesse pubblico e per una riscoperta della cultura della città: non sarebbe questo un percorso per impegnare Direttivo, Comitato e Cittadini a pensare positivamente e costruttivamente il futuro della città di Sarzana? Con novità di pensieri e di emozioni? Non dovrebbe essere questa la partecipazione? O aspettiamo che un deus ex machina, calato dall’alto, ci risolva i problemi e noi continuiamo ad opporci – con pieno diritto e generosità – ma senza coltivare dentro di noi la felicità di sentirci tutti architetti, perché la città è una conquista semplice, è lo spazio di tutti, come dimensione collettiva ?