Via Muccini, una parodia del Botta-pensiero
studentessa di Ingegneria edile-architettura di Pisa, del direttivo del Comitato “Sarzana, che botta!”.
Articolo pubblicato sul prestigioso sito di architettura e urbanistica Abitare (qui) e ripreso da Marco Preve su Repubblica online (qui).
Ho letto con attenzione l’intervista a Mario Botta apparsa nell’inserto Cultura del 23 novembre scorso di Repubblica (QUI IL LINK), perché il grande Maestro nella mia città, Sarzana, ha firmato un massiccio intervento su un’area che è un terzo del perimetro urbano. Vorrei sviluppare alcune considerazioni tra le teorie esposte dal Botta nell’intervista e le sue realizzazioni a Sarzana.
Mario Botta spiega come l’architettura post moderna abbia “confuso gli stili con la storia facendone una caricatura”, parla di memoria come di “un bisogno reale” che viene invece ridotto al “rifacimento di timpani o colonne”. E non serve prestare una particolare attenzione per vedere sparse per il nostro territorio villette a schiera che ricordano templi romani e greci, miniaturizzati e ridicolizzati da colorazioni improbabili. “L’architettura è ineludibile. Non si può spegnere come fosse una trasmissione che non ti piace o accantonare come un libro che ti delude”,dice Botta. Ed è vero. Infatti,siamo costretti a vedere quelle villette ogni giorno, andando all’università, a lavoro o a spasso. Il problema si ingigantisce quando la caricatura non è più su una singola costruzione ma si propone su un’intera area urbana. Una superficie di circa sei ettari, adiacente al centro storico di Sarzana è destinata ad assorbire circa 200.000 mc di cemento. E se un archistar non può assumersi le colpe di un’amministrazione ancorata a previsioni ventennali, ha certamente gli strumenti per riconoscere l’errore dei suoi committenti, un errore che porterà il suo nome e che ai sarzanesi non piace. E si conferma così la dichiarazione di Rem Koolhaas , secondo cui il solo spazio riservato alla cittadinanza sarebbe oggi lo shopping, unica maniera di esprimere la partecipazione democratica. “L’impressione è – dice Franco La Cecla – che tutto ciò riguardi soltanto un mondo di addetti ai lavori, un mondo di collezionisti”. E a noi, che abitiamo e viviamo Sarzana, non resta che abbassare lo sguardo e rinchiuderci, per chi questa fortuna ce l’ha, nel nostro centro storico.
Eppure più volte ho sentito e letto le teorie di Botta sull’architettura ed ha sempre ribadito che “essa non è lo strumento per costruire in un luogo ma per costruire quel luogo. Deve tener conto delle sue caratteristiche, della sua identità, del suo essere a suo modo origine.” Gli architetti sono chiamati a lavorare “anche sul terreno della memoria, che oggi è il vero antidoto alla globalizzazione”. Ma sono chiacchiere. Sarzana e il suo meraviglioso centro storico non hanno forse memoria? Sarzana aveva veramente bisogno di variare il suo Piano Regolatore, in funzione di tipi edilizi sconosciuti a tutto il territorio ligure? Quell’area invece necessitava di uno studio che permettesse la ricucitura col centro storico, che stimolasse i suoi abitanti a partecipare alla vita del centro stesso e questo progetto non può assicurarlo e forse nemmeno sperarlo.
“Un architetto può lavorare per o contro la città. E per farlo deve dialogare con l’antico.” Qui Mario Botta ha lavorato contro. Ha rifiutato ogni tipo di dialogo, con l’antico e col moderno. Ha rifiutato di fermarsi davanti ad un esplicita richiesta degli abitanti, nascondendosi dietro a quell’alibi costante: gli architetti sono artisti con dietro una committenza che gli dice cosa e quanto fare. Anche Massimiliano Fuksas in un’intervista apparsa sul vostro giornale il 22 gennaio 2008 (citata da Franco La Cecla nel suo libro “Contro L’architettura”), aveva affermato che il problema è di tipo politico. Sta quindi solo ai politici affrontare l’emergenza generale in cui viviamo? Io mi associo all’ immaginazione di F. La Cecla: “sarebbe bello in realtà se da qui si partisse per un altro viaggio, più ambizioso, se gli architetti avessero voglia di essere una classe di cultori della bellezza e delle città e dell’abitarvi, se fossero gli intellettuali che si disdegnano per la mediocrità, la vetrinizzazione, la plastificazione della vita quotidiana. Avrebbero forse più influenza così, come gruppi di innamorati del bello urbano, che come designers di oggetti monumentali o di porcellane per collezionisti”
E ancora su un ultima cosa mi sento di richiamare questo grande architetto con un ultima domanda: ha affermato, sempre nella vostra intervista, di essere un architetto globale: “posso essere un giorno in Corea, un altro in Cina, un altro ancora negli Stati uniti. Ma non adotterei mai un punto di vista globale sull’architettura”. Perchè se accosto a quello di Sarzana altri progetti sviluppati a Treviso o Lugano, non trovo differenze con la mia futura città? E’ forse perché Sarzana ha un tessuto molto simile a quello di Treviso e Lugano che la sua lettura ha prodotto risultati simili? Così simili da portare un architetto di fama mondiale a progettare con gli stessi materiali, stesse coperture, stesse tipologie in luoghi così diversi? Io penso di no.
Credo che se Mario Botta applicasse sempre le sue teorie con coerenza non si sentirebbe più offeso. In nessun modo e da nessuno.
Sara Frassini
Non sono nessuno, se non io, e sono nata a Sarzana.
Dopo alcuni giorni passati in una grande città, tornare a Sarzana mi ha procurato un grande piacere, perchè questa è davvero una piccola e meravigliosa cittadina, non possono saperlo quelli che non ci hanno mai passato il tempo, ma lo sospettano e cercano di carpirne il segreto. Non c’è segreto, ed anzi sono stati in molti a distruggere la patina antica , la sapiente urbanizzazione della sua nascita, ma và a sapere come, il centro è rimasto miracolosamente incolume( o quasi).Quindi Sara sono assolutamente d’accordo con la tua sapiente analisi della scissione fra il dire ed il fare del signore Botta, eccetto che per un’affermazione riportata nella tua lettera, cioè che il problema sia di tipo politico. Non la politica , no, quì si parla di migliaia di metri cubi di cemento che tradotto diventa” TANTI SOLDI”.
Tanti soldi spesi uguale tanti soldi migrati nelle tasche di chi lo sappiamo tutti, anche se diventerà di dominio pubblico fra dieci o forse venti anni, quando al peggio non ci sarà più rimedio.