Marco Romano: salviamo le città dal declino
di Sara Frassini
“Perché un manufatto possa venire considerato un’opera d’arte è consuetudine ritenere che debba essere stato realizzato proprio con quella consapevole intenzione di farne un’opera d’arte e che d’altra parte esista qualcuno che la consideri tale e come tale la apprezzi”.
Così Marco Romano, partendo dall’incipit del suo libro “La città come opera d’arte”, ha dato inizio all’incontro al Festival della Mente.
Video estratto dall’incontro (1 di 2)
Da circa mille anni a questa parte la concezione europea di città è quella di “opera d’arte”.
Abbiamo assistito nel tempo al consolidarsi di un tipo di società aperta, molto simile a quella attuale, che operava nella pura intenzione di conferire unicità alla città tramite l’abbellimento delle facciate, le quali, attraverso una gamma espressiva praticamente illimitata, avevano a loro volta l’implicito compito di dichiarare lo status degli abitanti. In tal senso, l’uniformità architettonica tipica dei quartieri popolari identificava, anche se non intenzionalmente, la cittadinanza di classe sociale più bassa.
Altro elemento caratterizzante della città europea è riconosciuto nella ripetizione di temi collettivi comuni
(piazze, strade, chiese, logge, teatri, passeggiate…), che permettono un confronto di rango tra città e città. Ancora oggi, quando una città vuole esaltare la propria bellezza ricorre alla realizzazione di una nuova biblioteca, di un nuovo teatro o, comunque di un nuovo monumento con una volontà estetica trasparente che riprende i temi collettivi appartenenti alla nostra cultura da secoli.
Video estratto dall’incontro (2 di 2)
I temi collettivi sono poi legati in sequenze da piazze e strade tematizzate:
ad esempio, a Sarzana la posizione del teatro Impavidi non è casuale, ma è posta in relazione con altri temi quali la piazza su cui si affaccia, che a sua volta si innesta su un viale residenziale; Porta Romana, che segna l’inizio di quella strada; Via Mazzini, che conduce alla piazza principale della città.
Le espressioni del “moderno” sono andate avanti costituendo un riferimento, ricercando una dialettica di continuità tra la città antica e quella moderna.
Oggi tuttavia questo rapporto è spesso venuto meno, degenerando in un accostamento
tra città demenziale da un lato e un centro storico da difendere coi denti dall’altro.
Si è arrivati addirittura a legittimare operazioni in cui i centri storici sono completamente ignorati.
Quello che si deve cercare di evitare oggi è l’errore di lasciare che i temi collettivi appartengano solo al centro della città; si innescherebbe altrimenti il problema della periferia, della penalizzazione dei suoi abitanti e della loro esclusione dalla partecipazione cittadina. I temi collettivi costituiscono quindi un riconoscimento simbolico di appartenenza alla città, sottintendendo un principio di eguaglianza che dovrebbe essere, ancor oggi, il fine ultimo di un progetto di ricucitura, che sia di ampliamento e di recupero.
Il professor Romano ha concluso mettendo in discussione la funzionalità legata alla progettazione in quanto vittima del progresso, fondato sulla negazione o sul superamento dei suoi risultati precedenti.
La forma della città è destinata a durare per secoli e deve dunque rispondere a principi che offrano la garanzia di durare per altrettanti secoli.
La consapevolezza che la bellezza dell’urbs è la sfera nella quale i cittadini dei diversi ceti vengono integrati in un immagine unitaria ci induce soprattutto a evitare che in futuro si rinnovi l’inconveniente di questi ultimi cinquant’anni, di periferie nelle quali sopravvivono cittadini privi del loro universo simbolico (…) e se codesto spaesamento non costituisce sempre il tema di una loro esplicita rivendicazione è perché, non essendo chiaro come potrebbero evitarlo, hanno rinunciato a prenderne coscienza (…)
Per un approfondimento: consultando il sito del professor Romano (www.esteticadellacitta.it) e leggendo il libro che ha tracciato le linee dell’incontro viene evocata una nuova figura, la sola adatta a progettare, oggi, le città: il magister urbis. Non un esperto con una verità da imporre ma un urbanista dotato di mentalità particolare, qualcuno in grado di incoraggiare tutti a sognare la propria città: i cittadini devono trovare in lui chi dà suggerimenti rendendo palese a loro stessi quel che avevano nel fondo del cuore, che lascerà in tutti con le sue idee una traccia di affezionato rimpianto anziché l’amarezza degli eccessi vincolistici o la lontananza dei punti di vista strettamente disciplinari.
Quanto espresso da Marco Romano suscita una serie di riflessioni legate all’argomento del sito:
Il cosiddetto Piano Botta è coerente con la nostra cultura con la nostra città?
Questo piano nasce con un intenzionalità estetica? Nasce per rispondere ad un esigenza funzionale?
Riconosciamo temi collettivi in questo progetto?
Se sì, vivranno in quella che il professore chiama sequenzialità di tematizzazioni?
Gli abitanti della nuova Sarzana non meriterebbero una diversificazione dei temi architettonici?
Saranno soggetti al processo di penalizzazione ed esclusione?
E’ difficile credere che questo piano sia pensato per la nostra città, per la nostra cultura locale.
Anche quei temi collettivi che pur poco marcatamente sono presenti (piazza coperta) corrono il rischio di rimanere isolati in uno spazio privo di identità e quindi di appartenenza.
Fonti:
“La città come opera d’arte” M.Romano
Per Sara Frassini! Ti invio le mie riflessioni su Teoria e Prassi che potrai leggere collegandoti con
http://ginopi.blogspot.com/2009/09/teoria-e-prassi-in-urbanistica.html
Sono anni che seguo e tento di applicare i concetti e le categorie operative di Romano, Habraken e Alexander (teorici di una prassi urbanistica fondata sui contesti e sulla prevalenza dei “tessuti” ordinari nella costruzione della città); credo che sia qui la discriminante tra due differenti modalità operative che vedono contrapposte architettura e urbanistica… se a qualcuno interessa se ne può parlare….gino piarulli