Sarzana, che Botta!

« Quando il committente di una città impone case con un’architettura omogenea , l’esito ci appare sordo: le facciate non rispecchieranno più le diverse inclinazioni del gusto individuale(...) ratio medesima della loro bellezza »

Marco Romano


In Italia vince l’architettura senza radici

Una forte critica al sistema tutto italiano di scegliere i professionisti a cui affidare i progetti ci arriva da Rudy Ricciotti, architetto già vincitore del progetto per il nuovo palazzo del cinema di Venezia (QUI IL SUO SITO).

In Italia, dice, nei concorsi vengono premiati quasi esclusivamente architetti stranieri che hanno opere uguali in tutto il mondo.

A Sarzana, diciamo noi, è stata negata anche la possibilità del concorso.

Di seguito, un estratto dell’intervista al progettista francese di nascita, ma culturalmente legato all’Italia (è intervenuto di recente sulla questione della ricostruzione dell’Aquila con queste parole: “Gli architetti di fama internazionale, se hanno veramente qualcosa da dire a proposito di questo dramma, e se amano l’Italia non solo durante il mese di agosto, allora che lavorino gratuitamente”).

ItaliaOggi Numero 127 del 30/5/2009

Le grandi opere a Milano sono di architetti apolidi

I COMMENTI
Di Pierluigi Magnaschi
Rudy Ricciotti, progettista, con il Gruppo italiano 5+1, del nuovo Palazzo del Cinema di Venezia, ha gettato il sasso nella piccionaia.Ricciotti se la prende con la moda provinciale di premiare quasi solo, nei concorsi, i progetti degli architetti stranieri che hanno pronte le stesse opere per tutti i paesi del mondo e si comportano come i cuochi della nouvelle cuisine che hanno distrutto le cucine nazionali, mandando al creatore anche piatti sublimi.Ricciotti infatti dice: «Sono sorpreso che in Italia stiano lavorando quasi esclusivamente architetti stranieri. Sembra che a Milano, la città di Gio Ponti e del Pirellone, nessuno sia più in grado di costruire in cemento armato. È assurdo. È un razzismo all’incontrario. Consegnare l’Italia a un’estetica internazionale è una forma di sottosviluppo intellettuale». La mondializzazione, in architettura, è un non senso. Anzi, è una violenza culturale.

I grandi architetti internazionali producono opere che, se non vincono un concorso a Manila, si possono costruire a Borgomanero. Sono edifici frullato misto, senza radici. (…)

Possibile che gli architetti italiani siano scomparsi e rimangano su piazza solo Renzo Piano e Massimiliano Fucksas, bravissimi certo, ma troppo pochi per poter progettare tutto?

Il fatto vero è che l’Italia è affetta da un provincialismo mortificante che la porta a essere pregiudizialmente esterofila. E questo è anche il risultato dell’invecchiamento delle élites (che poi sono quelle che siedono nelle giurie) e della chiusura dell’establishment alle proposte dei giovani architetti.

Nascono così città senz’anima, prive di identità, arretrate anche quando sembrano innovative. Per capire se sei arrivato a Venezia, a Firenze o a Torino, ti basta un sguardo. In futuro, se andrà avanti così, per sapere in che città sei arrivato dovrai chiedere informazioni.

Gli edifici dei grandi architetti infatti si assomigliano fra di loro come i negozi Benetton nel mondo. Un pensiero unico globale che si innalza al cielo.

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Data
domenica, 31 maggio 2009

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