L’urbanista Cervellati
Chiamato nel marzo dello scorso anno a dare un suo parere sul progetto Botta di quattro torri a Celerina, piccolo comune dell’Engadina in Svizzera (di cui diamo dettaglio qui) un maestro dell’urbanistica, Pier Luigi Cervellati, titolare della cattedra di Recupero e riqualificazione urbana e territoriale alla Facoltà di Architettura dell’Università di Venezia, si espresse così.
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(…)« firme illustri, e non mi riferisco al caso specifico, sono il paravento per operazioni di grande speculazione. Oggi ci sono più architetti che nel Rinascimento. Tutte le loro opere, tra 50 anni, saranno considerate arte?».
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Un esempio? «Il ponte di Calatrava: costosissimo, tutto tranne che un’opera d’arte. Ben venga dunque se la gente, sulle grandi opere così come su queste operazioni griffate, vuole dire la sua».
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«La pianificazione deve essere democratica e partecipata. Un sindaco non può dire non mi fermo. È una prepotenza. Si accentra per velocizzare tutto e invece così si fanno lievitare tempi e costi».
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Lei ha firmato progetti ovunque. Non pensa che se fossero stati messi sempre ai voti, molti sarebbero ancora bloccati? «In fatto di urbanistica io sono contrario alla ricetta referendaria. È l’amministrazione che deve decidere, ascoltando cittadini e tecnici. Al referendum si deve ricorrere solo quando un’amministrazione si accanisce nel voler andare avanti a tutti i costi. Come accade in Svizzera, se non si arriva a una soluzione condivisa, bisogna avere il coraggio di dire: “bene, contiamoci”».
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Lo spartiacque? «Il referendum va usato con molta cautela, ma tutte le volte in cui l’operazione è irreversibile. Se fossi un sindaco, sarei io il primo a chiamare i cittadini al voto in questi casi. Perché il referendum può essere un’arma di difesa per l’amministrazione: le dà sostegno nelle scelte e l’aiuta a smascherare le proteste strumentali».
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Ma dove sta allora l’anello debole che porta all’utilizzo sempre più frequente di referendum? «Nell’assenza di pianificazione, nel silenzio delle sovrintendenze, nella mancanza di trasparenza amministrativa. Ma anche in sistemi di finanziamento delle opere come il project financing: le amministrazioni diventano ostaggio dei privati. Alla fine sono loro, o chi sta ancora dietro, a fare la pianificazione. E poi c’è la questione estetica».
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Lei più volte ha usato questa citazione: il bello in senso astratto è il preludio alla felicità. «Appunto. Noi avevamo città straordinariamente belle e vivevamo in case povere. Ora abbiamo case belle e città brutte. Il preludio dell’infelicità alla quale la gente inizia a ribellarsi».
di Alessandra Mangiarotti
dal Corriere della sera del 05.03.08