Sarzana, che Botta!

« È anzitutto alla casa di abitazione che occorre rivolgere la massima cura. Se gli uomini vivessero veramente da uomini, le loro case sarebbero dei templi »

Mario Botta, citando Ruskin


Botta al Moderno: intervento del portavoce del Comitato

Pubblichiamo il primo intervento integrale che il Comitato ha presentato all’architetto Botta e alla Platea di 420 persone al Cinema Moderno, giovedì 5 marzo, tramite il proprio portavoce Roberto Mazza.

Gent. mo architetto Botta, sig. Sindaco,

come mi pare le stia succedendo da più parti, il suo progetto anche qui desta preoccupazioni, critiche e forti opposizioni. In poche settimane si è costituito un gruppo di cittadini che ha dato vita ad un comitato che ha raccolto al momento 1230 adesioni (e tende ad aumentare) di persone che vogliono imporre la partecipazione popolare nelle scelte RILEVANTI della politica, tanto più su quelle urbanistiche, estetiche, ambientali e culturali. A fronte di opere come queste, che riteniamo estranee al nostro territorio, per l’impatto, i volumi, la mastodonticità dei manufatti, l’incoerenza con ciò che è il territorio, e la non risoluzione dei problemi della viabilità (per cui rimando al Libro verde dal titolo “Verso una nuova cultura della mobilità urbana” – reperibile in internet – presentato dalla Commissione europea a Bruxelles nel settembre 2007, in cui vi sono indicazioni importanti.)

Un gruppo numeroso, che in assenza di risposte persuasive a breve termine organizzerà dai prossimi giorni altrettante manifestazioni forti (anche se altrettanto civili ed intellettuali) di quella di oggi.

Come era ovvio e democratico abbiamo chiesto agli aderenti di formulare domande e diligentemente lo hanno fatto. Sono centinaia, in parte rivolte a lei ed in parte alla politica. Mi impegno a consegnargliele al più presto, non potendole porre tutte in questa sede. Ne elencherò solo alcune, riassunte da me e dal gruppo ristretto del comitato, riguardanti i rischi per la nostra città, e preoccupati per una città ormai da anni assediata dal traffico e dagli ipermercati e più in generale da un territorio ferito dall’ignoranza e dalla arroganza di mercanti e speculatori.

Per prima la comunicazione giunta ieri da parte del professor Cervellati, celebre urbanista, che gentilmente ci ha scritto, e che per anzianità e competenza vorrei leggere per prima, come introduzione alle domande:

Pier Luigi Cervellati

Cari amici, i grattacieli sono una trappola. Una vecchia, vecchissima
trappola. In questo periodo poi, un’autentica sciagura. Vengono
contrabbandati quale rimedio per risparmiare terreno, in realtà producono
carichi urbanistici inaccettabili. Producono congestione, inquinamento…
Lusingano i progettisti, specie le star dell’architettura, con l’ossessione
blasfema di progettare quello più lungo, quello che può penetrare il cielo,
raggiungere Dio. Solleticano la vanagloria degli amministratori che in tempi
di crisi come questo, pur di far cassa, sono disposti a vendere l’identità
del luogo che amministrano pro tempore. Pensano, più o meno di omologare
Sarzana a Dubai. Sono una manna per gli speculatori, per chi si arricchisce
impoverendo il territorio, per “chi se ne frega” della cultura e della
qualità di un luogo. Eppure tutti conoscono la storia di Babele. I babelici
volevano farsi un nome, distinguersi dagli altri, salire in alto, toccare il
cielo. Tutti sanno come finirono……
Per costruire grattacieli (e provare il brivido di toccare il Signore) -e
dare scacco matto al territorio -bisogna avere un nome. Si deve ricorrere a
una archi star, appunto. Conosciamo i “maestri comacini”, per secoli
costruirono capolavori di architettura. Conosciamo solo qualche nome di
battesimo, sappiamo però che ci si rivolgeva a loro usando il “voi”, come ai
maestri riconosciuti tali.
Ho sempre pensato che per curare la città bisogna ritornare anonimi e
sperare di riuscire a farsi dare del voi. Come fecero i capimastri che
provenivano dalla terra dell’archi star che con il suo nome vi vuole far
toccare il cielo. Tenetevi stretti e uniti. Vi auguro di evitare la fine dei
babelici.

Quando mi hanno detto che l’architetto Mario Botta avrebbe ridisegnato il centro cittadino, mettendo mano alle piazze e alla viabilità ero molto contento. Conoscevo molte delle sue opere e la sua fama, avevo appena letto le opere e la biografia di Louis Kahn scritta dal figlio, sulla relazione tra artista e opere, e mi immaginavo un tocco garbato di contemporaneità che potesse potenziare la bellezza e la funzionalità della nostra città. Ma avevo sottovalutato che l’attribuzione di incarico di consulenza riguardasse anche altro. Non sapevo che avremmo dovuto ottemperare ad una scelta antistorica, antieconomica, antifunzionale, antidemografica, anticulturale, rappresentata dal versamento di 200 mila mq. in un piccolo borgo millenario ed in una vallata che ha già perso troppo della sua identità e del suo paesaggio, vallata tappezzata da capannoni industriali, aziende dismesse e fatiscenti, surreali montagne di cointainers, oltre a costruzioni disomogenee in zone sempre più densificate.

Tutto ciò è avvenuto in fretta dagli anni 60, in primis con le costruzioni sui fossati, poi con i “crimini” commessi sulla spiaggia di Marinella e Luni Mare, e si è concluso con gli ipermercati. In un territorio che sino a quegli anni aveva mantenuto quasi intatta la sua fisionomia rinascimentale.

La torre e i manufatti di sette piani, che oggi abbiamo visto dal plastico, lasceranno una traccia indelebile ed irreversibile ancora più forte e non vogliamo che ciò accada. Avremmo fatto la stessa opposizione anche ad altre archistar (nulla di personale insomma).

  1. Con la tipologia della torre l’immagine della città viene a mutare radicalmente. Siamo sicuri che ciò sia un acquisto e non una perdita per Sarzana, per il suo Centro Storico che ha ancora limiti e armonia e una sua eleganza e leggerezza di spazi e di forme? La torre è corposa e massiccia – verrebbe da dire mastodontica – schiacciata tra ferrovia e centro storico, messa in una sorta di cul de sac . Si erge come il nuovo segno dominante dall’interno dalla città e dall’esterno: dalla piana e dalle colline organizzando – meglio forse disorganizzando – tutto il paesaggio sarzanese.

  2. Quanto la torre sovrasta con la sua altezza e la sua circonferenza il paesaggio urbano circostante? Esistono le emergenze storiche: il campanile della cattedrale, quello della Pieve di S. Andrea. In particolare, il campanile della cattedrale è di grande leggerezza ed eleganza: venendo da Viale Mazzini è l’immagine che ti introduce a Sarzana: elegantissimo, leggero, trasparente con le sue trifore.

    Tra la nuova torre e quelle antiche dei campanili non c’è dialogo possibile. Forse non interessa. Ma siamo sicuri che questa torre sia una conquista o una secca perdita di immagine urbana per Sarzana? Ha fatto un giro l’architetto Botta per Sarzana, ha visto la bellezza e leggerezza di certi suo androni in via Mazzini? La leggerezza di certe altane?

  3. La forte volumetria prevista accentuerà il ben noto processo di ‘centrificazione’ dei centri storici che sarebbe bene contenere perché finisce per accentuare le disuguaglianze urbane, aumentare la rendita urbana, ecc. L’aumento volumetrico introdurrà forti conseguenze sul centro storico e su tutto il territorio: conseguenze sociali, di traffico, di immagine della città.

  4. Ogni città oggi deve misurarsi col problema multietnico. Sappiamo già che questa spinta alla terziarizzazione provocherà un richiamo di manodopera non qualificata che avrà anche problemi di dove abitare e dove dormire. Così il processo di elitizzazione finirà per accentuare il problema della periferia e probabilmente un degrado del vecchio centro. Si è pensato a quante implicazioni comporterà questa scelta di forte urbanizzazione in tempi brevi?

  5. Una torre uccide sempre lo spazio alla sua base (si veda tra l’altro La Cecla, 2008, pp. 16-20). Non introduce gli spazi cordiali del passeggio, dell’incontro, della sosta, ma fagocita utenze funzionali verso i suoi piani alti, dove la fruizione della città è riservata a chi li usa e sono limitati prevalentemente ad un senso visivo, non di dialogo e partecipativo, come si vive quotidianamente negli spazi urbani del Centro Storico. Anche questa è una novità di tipo metropolitano, che forse Sarzana si potrebbe utilmente risparmiare. La torre è almeno tre volte più alta della media degli edifici del centro storico; è un “segno” di cui il nostro territorio non ha bisogno, avendone già tanti altri.

  6. Gli esempi di “architetture-evento” sono numerosi, ma i più felici sono quelli che dialogano con il contesto. Molti hanno in mente la casa della musica di Renzo Piano a Roma, il museo Guggenheim di Bilbao di Frank Gehry o la bella cattedrale di Evry dello stesso Mario Botta. Questi progetti, a parte le considerazioni sulle loro dimensioni, inferiori alla torre progettata per Sarzana, sono stati però realizzati in periferie inizialmente degradate e sono serviti a riqualificarle; non erano edifici del centro città. E le periferie hanno effettivamente tratto beneficio da quegli interventi, sono state provocate, hanno mosso investimenti, stimolato nuove idee urbanistiche e imprenditoriali”.

  7. Il problema del traffico è fondamentale. In un territorio poverissimo di parcheggi pubblici, torre e galleria porteranno un enorme aumento di traffico, regolato con rotatorie e con parcheggi a prevalente uso esclusivo delle utenze della torre. Ci si rende conto di tutto questo? Le soluzioni adottate non sembrano aver percepito la gravità del problema. Concentrare centinaia di parcheggi nell’area di via del Murello significa sottoporre tutta la zona ad un traffico molto intenso. Il problema degli accessi, da quello che è dato vedere, non è ancora risolto. Che senso ha concentrare i parcheggi in un’unica area? In diverse città d’Europa, in Svizzera e anche da noi si vedono all’opera strategie che vanno in senso contrario. Le aree di parcheggio vengono diversificate e poste lungo il perimetro dell’area urbana. Oltre questo confine circolano solo i residenti e la mobilità è affidata al trasporto pubblico.

  8. Sarebbe bello utilizzare questa occasione per creare una autentico spazio urbano dove gli elementi tipici della vita urbana di Sarzana possano continuare: dove possa svolgersi il mercato all’aperto, dove possano trovare opportuno spazio le attività artigianali, le mostre. Con questi interventi dove andrà a finire il tessuto delle piccole imprese mercantili e artigianali oggi in crisi anche a Sarzana? Si può pensare a un progetto che curi invece massimamente quel cordiale rapporto tra spazi aperti ed edificato che è la bellezza urbana di Sarzana, da tutti praticabile? Nell’attuale progetto gli spazi pubblici sono inesistenti.

  9. Sarebbe bello edificare con altri criteri questa area, collegandola ad esempio all’altro lato della ferrovia, dove c’è una Sarzana separata che cresce in una sgradevolissima e volgare periferia. Una Sarzana divisa e senza alcun rapporto, di nessun tipo, se non banalmente meccanico con la Sarzana della storia. Sarebbe una storia da riscattare, un passato da ripensare. E costruire un pezzo di città che si aggiunge e si integra al centro storico esistente, con accenti di novità, anche forte, ma facendone un cuore urbano non una microarea megapolitana. Che c’entra questo grattacielo con Sarzana?

  10. Non crediamo certo che l’opposizione di oggi al cosiddetto “progetto Botta” debba avere carattere regressivo. Non auspichiamo un ritorno alle origini. Un’opzione romantica di ritorno al modello di costruzione contadina. Crediamo che edifici tradizionali e architettura decisamente contemporanea, convivano bene e si valorizzino a vicenda. Edifici intelligenti, limitati nei consumi, che utilizzino energie rinnovabili. È possibile ripensare il progetto nelle misure e nella colocazione ed affidare all’architetto Botta questo tema?

  11. In ultimo: molte opere d’arte da noi rischiano di diventare fatiscenti precocemente o non essere mantenute nel giusto decoro (vedi Teatro Impavidi, villa Ollandini, Palazzo del Canale Lunense, vecchio Ospedale) o perché non riusciamo a valorizzarle o collocarle. Si pensi al nuovo Ospedale, opera progettata da un altro grande architetto, Giovanni Michelucci, di cui avremmo potuto fregiarci nel mondo, e divenuta una grande opera incompiuta (e forse anche ormai disconosciuta dal centro studi di Fiesole); un progetto pensato per la gente, non solo per i malati. Per collegare ospedale e città. Gli abbiamo costruito davanti l’ipercoop! Bella e innovativa, simbolo di una nuova cultura già morta, mentre l’ospedale attende grandi importanti rifiniture fatte non più da Michelucci, ma dalle nostre maestranze locali. Grazie


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Data
giovedì, 5 marzo 2009

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